Il diagramma ferro carbonio

Per i ragionieri, i liceali, insomma per i non periti industriali il " diagramma ferro carbonio " può significare assolutamente nulla. Per noi, invece, significava molto.

Al di là del contesto tecnico al quale appartiene, il diagramma ferro carbonio per noi era qualcosa di terrificante, difficile da capire, impossibile da spiegare, arduo da disegnare. In realtà, il nostro è soltanto uno dei tanti diagrammi di stato delle leghe metalliche. Ogni lega ha un suo diagramma caratteristico, una vera e propria carta d’identità, ma il diagramma ferro carbonio era quello più complicato di tutti. Esso era una via di mezzo tra uno scarabocchio di un pittore cubista a corto di idee e uno schizzo dei test psichiatrici.

Il diagramma ferro carbonio
Il famoso diagramma Ferro Carbonio

Per i nostri insegnanti di Tecnologia era invece l’essenza degli acciai e delle ghise, il capolavoro grafico che sintetizza mirabilmente ciò che avviene quotidianamente nelle industrie siderurgiche.

Quando vi capita di vedere scene di lavorazioni nelle industrie siderurgiche, dove zampilli infuocati escono da una specie di gigantesca betoniera, che viene inclinata lentamente per fargli vomitare il contenuto, ebbene, non è quello che credete di vedere, cioè comune metallo fuso, ma è il diagramma ferro carbonio. In quel magma liquido c’è lui, ed è lì dentro come un’entità astratta ma viva, per comandare, supremo dittatore siderurgico, la formazione di acciai austenitici, acciai carboniosi, ferri acciaiosi, ferri ferrosi, acciai ferrosi, acciai acciaiosi, ecc. Non me li ricordo bene tutti, qualcuno l’ho sicuramente inventato, ma lui, lì dentro, con la sua voce cavernosa e metallica (e che vi aspettavate…) ordina alla ribollente massa fusa: “Tu sei austenite, tu ghisa! E tu, laggiù, sarai ferro carbonioso!”.

Tranquilli, non faccio uso di sostanze strane Usa solo un po' di diagramma ferro carbonio, ho solo fantasticato su quello che per noi era un argomento di suprema difficoltà, quasi tabù, un po’ come la teoria della relatività per i fisici e i buchi neri per gli astrofisici.

All’inizio del triennio di specializzazione (ultimi tre anni di scuola), il nostro insegnante di Tecnologia era l’Ing. Bruno. Egli era una di quelle persone che, pur non alto di statura, privo di capelli, la voce flebile e il portamento così flemmatico da far arrossire un lord inglese, lasciava tuttavia il segno. E che segno! Il segno del diagramma?

Il suo ingresso in aula avveniva nel silenzio totale. Al suo apparire il nostro brusìo si interrompeva immediatamente, e ci alzavamo in piedi (così si usava allora e qualche volta anche adesso); lui, muto come un pesce imbalsamato, ci faceva un cenno con la mano per farci sedere e finalmente si accomodava in cattedra.

L’aula, immersa in un’atmosfera francamente surreale, era talmente silenziosa che talvolta si poteva udire il lieve sibilo dell’acqua calda in pressione nei tubi del riscaldamento, quando era attivo. L’impianto di riscaldamento del “Galilei” era infatti vetusto e pieno di buchi da suonare come un piffero.

Questo silenzio tombale, durante il quale la temperatura da noi avvertita era sotto zero anche con tutti i riscaldamenti accesi, accompagnava le manovre iniziali dell’Ing. Bruno. La sequenza era normalmente questa: lenta apertura del giornale di classe, lenta firma, lento massaggio della mascella con contemporaneo aggrottamento dei suoi piccoli occhi, forse a causa di qualche perenne mal di denti. Poi, lenta apertura del suo registro personale e lenta lettura dei nomi per l’appello. I cognomi erano scanditi con la caratteristica flebile voce: “Bat-ti-stoni, Bra-ga-lo-ne, Ca-lva-ni….” ai quali ciascuno di noi rispondeva con una compostezza decisamente inusuale.

Il tono di voce dell’Ing. Bruno era talmente basso che potevi rischiare di non capire cosa stesse dicendo. Come accadde un giorno a Noviello, il quale, durante l’appello, si era un pochino distratto confabulando sottovoce con il suo compagno di banco (se ricordo bene Mazzeo), proprio mentre il Bruno scandiva “No-vie-llo”. A nulla servirono i richiami dei compagni, né la ripetizione della chiamata, scandita più lentamente ma sempre con un filo di voce: “No-vie-llo!”. A questo punto l’insegnante capì che Alfonso Noviello era assente.

Resosi tardivamente conto dell’accaduto, il nostro cerca di porre rimedio, recandosi di fronte al Bruno, e chiedendo se fosse stato registrato come assente.

Peccato che Noviello non abbia mai avuto una voce stentorea, ed in quella circostanza, con i modi intimidatori dell’Ing. Bruno, parlò quasi sussurrando. Peccato ancora che il professore fosse abbastanza sordo da non capire quello che Alfonso gli stava dicendo. Insomma, c’erano tutti gli ingredienti per un bel dialogo distensivo Magari parlando anche del diagramma ferro carbonio .

“Eh?! Che vuoi? Che c’è?”
“Professo’, che m’ha messo assente?”
“Eh?! Non ti capisco!”
“No, dicevo, che m’ha messo assente sul registro?”

Così dicendo, visto che l’altro non lo capiva, prese per un angolo il registro e tentò di girarlo per verificare la sua assenza. Non l’avesse mai fatto!

Poche volte avevamo visto il Bruno così incazzato Quasi come il diagramma ferro carbonio.

“Ma che fai!
Che vuoi?!
Vuoi il registro?
Teh!
Quest altro?
Toh!
Il portafogli?
Prendi!”

disse a modo suo urlando, cioè con un tono di voce finalmente normale.

Sulla cattedra il Bruno faceva piovere un po’ di tutto: il registro, fogli di carta, la penna, il proprio portafogli, le chiavi della macchina e altro ancora. Qualcosa cadeva in terra, Noviello la raccoglieva dicendo “Ma, professo’!…” e quello buttava via ancora roba: “Ma che vuoi?! Tieh, Tieh!…

Così, quella fu l’unica o una delle poche lezioni in cui uno di noi era assente sebbene fisicamente presente. L’ing. Bruno, senza saperlo, aveva inventato la realtà virtuale con parecchio anticipo sui tempi.

Finito l’appello, la nostra carica nervosa raggiungeva il punto massimo, perché non era ancora possibile capire se il prof avrebbe fatto lezione o avrebbe interrogato. Il silenzio era totale, forse si sentivano i respiri, soprattutto di quelli in “odore” di interrogazione.

Con la penna in mano, l’Ing. Bruno cominciava a scorrere, sempre lentamente, la lista dei nomi, ora verso il basso, ora verso l’alto. Tornava un po’ giù e poi, quasi repentinamente, un po’ su. Questa altalena durava una manciata di secondi, sufficienti per mettere in allarme tutti, a turno, a seconda della prima lettera del proprio cognome (penna verso l’alto o verso il basso). In quei momenti il terrore passava su quasi tutti, da A, B, C saltava a G, M, S, U per poi tornare verso C, D, ecc.

Poi, se si alzava dalla sedia, sempre lentamente, gran respiro di sollievo di tutti: aveva deciso per la lezione.

Altrimenti, Bruno avrebbe scandito il nome del malcapitato, talvolta con affettuosi soprannomi da lui stesso inventati: “Lo sceriffo!” riferendosi a Valerio D.M., noto per i variopinti foulards da collo e certe cravatte con pistole e fucili, e jeans rigorosamente “Lee” da cowboy. Più Bruno lo chiamava “Sceriffo”, più Valerio arricchiva la sua dotazione di orpelli western. Oppure chiamava “La talpa”, cioè me, noto per la scarsa vista e l’uso di due paia di occhiali, uno da lettura e l’altro per la distanza; non esistendo zoom da vista, ho risolto l’annoso problema con la scoperta da parte mia delle lenti a contatto. Dio benedica l’inventore, altrimenti avrei indossato più vetro io del telescopio di Monte Mario Anche perchè senno' come facevo a vedere il diagramma ferro carbonio?

Orbene, l’interrogato rischiava di rimanere in piedi per tutta la durata della permanenza del prof. Bruno, cioè due “ore” da 50 minuti ciascuna, quindi per almeno un’ora e mezza. L’interrogazione si svolgeva con le laconiche domande, scandite sempre con la solita vocina: “Diagramma…. Ferro…. Carbonio….”. Se non lo sapevi o azzardavi risposte inesatte o incomplete la domanda rimaneva valida finché non indovinavi o si stufava lui. Non c’era tempo limite, se non quello sancito dal suono della campanella, che in tanti casi ha avuto per noi la stessa funzione salvatrice del gong per i pugili chiusi all’angolo. Nemmeno in questura si torchiavano così i sospetti.

Ad ogni risposta sbagliata o incompleta Bruno scuoteva la testa senza proferire verbo e senza sognarsi minimamente di darti un aiutino. Suggerimenti dalla platea, neanche a parlarne. Il Bruno era severissimo e non transigeva quando in ballo c'era il diagramma ferro carbonio.

Talmente severo che quando usciva dall’aula per fare una breve pausa, chiamava il nostro Leonardo Grano a fare il capoclasse pro-tempore per scrivere alla lavagna i nomi dei compagni irrequieti. Leo prendeva il compito di guardiano abbastanza sul serio, e spesso, col suo finto piglio da censore, finiva per scrivere qualche nome sulla lavagna. Poi, appena in tempo per il rientro di Bruno, un po’ per redimersi, un po’ per le reiterate minacce e i duri giudizi sui suoi antenati ricevuti dai “cattivi”, cancellava rapidamente tutto. Peccato però che il quasi afono e sordo Bruno ci vedesse bene, e qualche volta riusciva a leggere i nomi con il riflesso della luce.

Così, tra un’interrogazione andata a male e una cancellatura di Grano, molti arrivavano alla fine del trimestre con votazioni simili alle temperature artiche.

Una volta sono stato vittima dell’Ing. Bruno e del Diagramma Ferro Carbonio. Un’ora e mezza in cui ho fatto soltanto disegni astratti che avrebbero dovuto rappresentare il famoso schema, e che in realtà sembravano di volta in volta un pesce, un pappagallo e così via. Alla fine il gelido prof, con la sua pelata alla Yul Brinner, sibilò:

“Ti metto quattro!”.
“Professo’, ma stiamo al secondo trimestre!…”
Piagnucolai per commuoverlo.
“Vabbe’, quattro più per incoraggiamento!” sentenziò magnanimo l’Ing. Bruno.

È stato il primo, e finora ultimo, patteggiamento della mia vita Mai patteggiare, specie se si tratta del diagramma ferro carbonio .

di Luciano Calvani - 31/10/2005

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