La grande sdraiata

Devo confessarvi che, tra tutte, Tecnologia era la mia materia preferita. Non perché avessi un interesse particolare per metalli, macchine utensili e metrologia di officina (la mia disfatta con il diagramma ferro carbonio, vedi l’omonimo capitolo, ne è la prova), ma per la bravura del nostro insegnante, l’Ing. Fattorini.

Questi era non solo un grande esperto di metallurgia e di tutto il mondo siderurgico e metalmeccanico, ma anche, a parer mio, un ottimo insegnante. Uno di quelli che ci metteva l’anima quando doveva trasferire la sua sacra materia nelle nostre testoline. Badate bene, essere un buon insegnante dovrebbe essere il requisito principale di chi siede nelle cattedre scolastiche e universitarie, ma non sempre è così. Saper esporre la materia in modo chiaro, semplice e attirare l’attenzione e l’interesse della platea non è facile, secondo me è quasi un dono di natura.

Alto, austero, severo, ma molto umano, una voce da attore drammatico, la gioventù trascorsa nelle Acciaierie di Terni e chissà in quale altra industria, Fattorini aveva insomma tutte le caratteristiche per essere un insegnante di quelli veri.

Certe volte, quando spiegava, credo che si immedesimasse talmente nell’argomento da viverlo veramente. Ricordo ancora la sua “interpretazione” della formazione degli acciai e delle ghise, per intenderci quelle del famigerato diagramma ferro carbonio.

Fattorini accompagnava l’illustrazione dei fatti disegnando alla lavagna i cristalli del metallo con una perfezione michelangiolesca. Dovendo rappresentare le immagini degli esami metalloscopici, che sui sacri testi erano raffigurati in cerchi così come si dovrebbero vedere con il microscopio, il nostro prof tracciava con il gesso cerchi di almeno 50-70 centimetri di diametro in modo così perfetto da far sembrare il famoso Giotto un dilettante piuttosto fortunato. Colpiti da tale perfezione, un giorno verificammo l’esattezza dei suoi cerchi con un compasso da lavagna, che l’Ing. Fattorini ovviamente non usava. Ebbene, il risultato fu sconcertante: il margine di errore era veramente minimo, dell’ordine, in qualche raro punto, di meno di un centimetro!

Anni dopo, ammirando certe prodigiose opere geometriche degli aztechi e degli incas ho capito subito che l’Ing. Fattorini era passato da quelle parti Magari per una grande sdraiata.

Dunque, in questa perfezione rinascimentale, il Fattorini disegnava cristalli e declamava tecnologia che oserei definire “epica”. In una atmosfera in cui non avrebbe stonato un sottofondo musicale wagneriano, come la famosa “Cavalcata delle Walkirie”, lui ci descriveva come si trasformava il magma metallico in acciaio o ferro o ghisa:

“Quando nel crogiolo il soluto (il metallo fuso, n.d.a.) si raffredda, si forma l’Austenite e quindi l’Acciaio! Se si aggiunge molto carbonio, ecco che avremo la Ghisa!”
declamava con la cadenza, il tono e la gestualità dei grandi Gassman e Albertazzi.

Mi sono sentito obbligato a scrivere Austenite, Acciaio e Ghisa con l’iniziale maiuscola, perché in quei momenti essi venivano descritti con l’enfasi dovuta a importanti personaggi mitologici come Thor, Odino, Sigfrido e compagni.

Insomma, nelle lezioni – sarebbe doveroso chiamarle performances – dell’Ing. Fattorini, dentro al famoso crogiolo non c’erano tanto dei semplici fenomeni chimico-fisici, ma una vera e propria saga mitologica.

Qualche volta, quando finiva, mi veniva voglia di applaudire, ma poteva sembrare una presa per i fondelli, e con il caratterino di Fattorini non c’era molto da scherzare. Non dimentichiamoci che, pur bonario, era costretto a coprire questa sua autentica umanità con un comportamento austero e severo.

Una volta chiesi chiarimenti su qualcosa, e lui mi invitò ad andare alla lavagna, perché non capiva bene quello che io non avevo capito. Ci scambiammo praticamente di posto: io alla lavagna e lui seduto al mio banco. Disgraziatamente (o fortunatamente?) alle sue spalle c’erano tre autentici dissacratori scolastici: Germano Battistoni – il “Papà” -, Flavio Benincasa e Claudio Gargottich. Quando mi voltavo verso il prof, i tre, in perfetto silenzio si alzavano un poco dal sedile e, guardandomi con sorrisi (che definisco, per moralità, del “piffero”), gesticolavano saluti al mio indirizzo. Una, due, tre volte, alla fine scoppio a ridere irrefrenabilmente, Fattorini intuisce, si volta e “becca” i tre in piena attività, e con la sua voce roca disse:

“Eh, ma che…?! Ma che mi state pigliando… insomma, per il culo, eh?” Si preparava per la grande sdraiata

Anche stavolta esce la classe del Battistoni che, come se nulla fosse, gli replica:

“No, professo’! E’ che lui è ‘n amico nostro, e ogni vorta che lo vedemo, lo salutamo!”

Tutti a ridere, Fattorini compreso, e finisce tutto lì.
Ma non sempre era così.
Quando lo facevamo veramente “storcere”, non ci faceva note, né rapporti. Metteva in atto la temibile “grande sdraiata”.
Che cos’era la “grande sdraiata”?
Non era un quadro di Goya, né una posizione del Kamasutra.
Consisteva nel “rastrellamento” di una fila intera di compagni – c’erano di solito tre file per aula – tutti chiamati sulla pedana della cattedra per una interrogazione di massa.

“Eh, m’avete proprio scocciato! Adesso faccio la grande sdraiata! Questa fila!… Tutti qui!…”

Dato che eravamo più di trenta in totale, e tenendo conto degli immancabili assenti, si trattava di sei-otto individui costretti a dividersi l’esiguo spazio libero della pedana, non più di due metri quadrati. Dovendo obbligatoriamente rientrare tutti in questo poco spazio, i poveretti sembravano un gruppo di pinguini stretti l’uno all’altro su un piccolo frammento di ghiaccio alla deriva.
A questo punto si poteva dare inizio alla “grande sdraiata”. Il Fattorini tracciava rapidamente qualche segnaccio sulla lavagna e poi, rivolto al primo “pinguino”, chiedeva imperiosamente:

“Di quale diagramma di stato fa parte questo?”

Non so se avete capito il senso della domanda, ma cerco di spiegarvelo. Lo scarno disegno sulla lavagna, non più di tre o quattro linee, era un particolare molto ingrandito di qualche diagramma di stato di qualche lega metallica, e i malcapitati dovevano dire chi fosse. Un po’ come se, mostrando la foto dell’orecchio di un amico comune, si chiedesse il nome del proprietario.

Grande sdraiata: esempio di domanda

Una tipica domanda della “grande sdraiata

Ora, se cercate questo scarabocchio nei meandri della figura del diagramma Ferro-Carbonio, al quale appartiene, ne troverete due. Naturalmente, se si indovinava la risposta, occorreva specificare anche il punto esatto del diagramma, e questo lo sapeva solo Fattorini.

Ovviamente il primo interrogato aveva pochissime probabilità di indovinare, e perciò:

“Sbagliato! Ti metto due!” E lo aveva sdraiato alla grande

E così fino a quando qualcuno più fortunato indovinava e veniva premiato:

“Giusto! Ti metto quattro!” La risposta non valeva comunque....stava facendo la grande sdraiata

E così si compiva la giustizia Fattoriniana.

di Luciano Calvani - 04/11/2005

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